Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 01 marzo 2025.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

La terapia protratta con farmaci antidepressivi SSRI accelera il declino cognitivo. Un nuovo studio, condotto presso il Karolinska Institute, ha rilevato e dimostrato su 18.740 pazienti affetti da demenza che i farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) accelerano il declino cognitivo. In breve: 1) i pazienti in trattamento antidepressivo presentano un maggiore deterioramento cognitivo nel tempo; 2) escitalopram, citalopram e sertalina erano associati alla massima velocità di declino, mentre la mirtazapina ha fatto registrare un effetto di accelerazione del decadimento più contenuto; 3) lo studio cerca di individuare sottogruppi di pazienti più o meno sensibili all’effetto collaterale dei singoli farmaci SSRI allo scopo di giungere a trattamenti individualizzati.

Ricordiamo, di passaggio, che la nostra società scientifica da vent’anni insegna l’uso di tecniche alternative ai farmaci antidepressivi per combattere e, soprattutto, per prevenire la fisiopatologia delle varie forme di depressione. [Fonte: Karolinska Institute & BMC Medicine, 25 Feb. 2025].

 

Working Memory: emerso un legame dello span con l’apprendimento. La memoria di funzionamento (working memory), in Italia spesso detta “memoria di lavoro”, è una funzione di ritenzione temporanea che consente la gestione delle tracce necessarie alla maggior parte dei processi di elaborazione dell’informazione nel vissuto quotidiano ed ha un ruolo chiave per l’apprendimento semantico e per il problem solving. Esistono vari mezzi di misura del suo span, che si adoperano soprattutto per “testare il limite ed esercitare verso il supra-span” nell’esercizio cognitivo assistito da computer. Lo span è generalmente riportato allo stato di salute cerebrale. Un nuovo studio ha dimostrato un rapporto più stretto con l’apprendimento che con una dote di capacità statica. Ecco quanto emerso dallo studio di Michael Frank e colleghi:

1) il cervello restringe la memoria di funzionamento per prevenire il sovraccarico e ottimizzare l’apprendimento; 2) per conservare spazio, il cervello comprime le informazioni collegate, migliorando l’efficienza della rievocazione; 3) la compromissione del rilascio di dopamina compromette l’efficienza della memoria di funzionamento, proponendo un suggestivo accostamento con quanto accade nella malattia di Parkinson, in cui si riduce lo span con la perdita dei neuroni dopaminergici nigro-striatali, e con l’ADHD, in cui si ha deficit dopaminergico. [Cfr. Soni A. V. & Frank M. J., eLife – AOP doi: 10.7554/eLife.97894.2, 2025].

 

Le tartarughe di mare (Caretta caretta) hanno due diversi sensi magnetici. Goforth e colleghi hanno studiato i meccanismi della magnetorecezione in una specie di tartarughe oceaniche presenti in tutto il globo terracqueo, detta loggerhead sea turtle (Caretta caretta). Questi rettili, che hanno un diametro di carapace di 90 cm e un peso tra 135 e i 450 kg, possono imparare ad associare il cibo con i contrassegni geomagnetici distintivi di varie regioni oceaniche, suggerendo che sono in grado di trovare le aree conosciute di foraggiamento impiegando una mappa magnetica interna. Tale mappa si basa su meccanismi neurali indipendenti da quelli che costituiscono la bussola magnetica della specie. Questo studio dimostra l’esistenza di due sensi magnetici indipendenti in questa tartaruga marina. [Cfr. Nature – AOP doi: 10.1038/s41586-024-08554-y, 2025].

 

Filmata un’armonia cooperativa tra giraffe e zebre mai rilevata in precedenza. I comportamenti sociali interspecie degli erbivori quadrupedi sono meno rigidi di quanto si sia ritenuto finora. Una registrazione continua per videocamera ha mostrato in questi giorni zebre e giraffe formare un gruppo unico per fare fronte alle esigenze fisiologiche in rapporto ai mutamenti ambientali, con una perfetta armonia fra le due specie, che non entrano minimamente in competizione per nutrirsi e abbeverarsi, e mostrano come le giraffe proteggano le zebre che, a loro volta, sembrano migliorare l’efficienza delle giraffe nel rispondere agli stimoli ambientali. [Fonte: Elie Dolgin, Science News, Feb. 13, 2025].

 

Cognizione animale nella socialità multi-specie: alcuni animali cooperano con membri di altre specie. Alcuni animali sono capaci di stretta cooperazione con membri di altre specie ma, sebbene questo comportamento sia stato osservato da sempre e studiato prima in chiave etologica e poi in termini di comportamento sociale, le basi neurocognitive di tali cooperazioni inter-specie non sono ancora definite. Eduardo Sampaio, Alexandra K. Schnell e Piero Amodio hanno costituito un piccolo team multidisciplinare per esplorare i processi cognitivi e comprendere perché talvolta occorrono e talaltra no. Gli sviluppi di questo studio si sono rivelati di estremo interesse, in quanto aprono una nuova prospettiva su evoluzione dell’intelligenza e cooperazione nel regno animale. [Cfr. Sampaio E., et al. Current Biology, 2025; 35 (4): R132, 2025].

 

Istruzione scolastica e profilo cognitivo nell’età media della vita. Un nuovo studio, condotto in quattro diversi stati degli USA, ha analizzato l’influenza dell’istruzione scolastica sul “funzionamento cognitivo” della mezza età, rivedendo la concezione semplicistica che domina gli studi di sociologia e si adotta anche in Italia: non è semplicemente una questione di grado di istruzione e titolo conseguito. La prestazione cognitiva nell’ambiente accademico e l’esercizio dell’intelligenza negli altri ambienti frequentati in età giovanile, forniscono elementi più significativi dei titoli di studio da soli nel prevedere il grado di efficienza e il profilo di intelligenza che si esprimerà nella mezza età. L’abitudine ad essere attivi e ad esercitare con impegno l’apprendimento e l’uso di quanto si apprende in età giovanile influenza lo stile cognitivo, che rimane più efficiente e giovanile anche nella mezza età. [Cfr. Alzheimer’s & Dementia – AOP doi: 10.1002/alz.70015, 2025].

 

Calcio: perché alcune persone sembra che abbiano visto un’altra partita? In sede di commento, dopo una partita di calcio, a volte sentiamo alcune persone fare delle affermazioni che presuppongono un giudizio complessivo dei valori in campo del tutto diverso da quello nostro e della massima parte di coloro che hanno assistito dal vivo o televisivamente all’evento sportivo. Il loro commento ci appare così lontano dalla realtà, che spesso diciamo che “hanno visto un’altra partita”. Una delle ragioni, accanto a un elenco di possibili fattori di influenza del giudizio che vanno dalla semplice mancanza di conoscenza e competenza al disturbo cognitivo, è una bias psicologica che induce a guardare i fatti della gara sulla base di inferenze personali calate nella realtà degli episodi, come alla ricerca di una conferma o di una smentita a un preconcetto, e induce ad estendere il giudizio sull’esito inferenziale degli elementi prescelti, all’opinione su valore e meriti complessivi delle due squadre.

Un elemento psicologico più banale che può disturbare il giudizio nel calcio è costituito dal vincolo pregiudiziale: ad esempio, la valutazione tecnica di un giocatore può essere influenzata da elementi inconsci o coscienti ma inconfessabili, perché non appartenenti ai criteri razionalmente adottati per giudicare il valore di un calciatore rispetto alle esigenze della disciplina sportiva e delle gare. Un esempio “storico”, in proposito, è quello del giudizio espresso in una trasmissione televisiva nel 1982 su un giocatore argentino da un giornalista, che peraltro è un serissimo professionista ora considerato un autorevole decano nella sua professione: “…non ha visione di gioco, gioca a testa bassa, è egoista, inconcludente, insiste troppo nel dribbling fino a perdere palla o farsi atterrare, non gioca per la squadra. Avrà dei numeri, ma io preferisco a lui di gran lunga Hugo Sanchez”. Dopo quattro anni, all’inizio del campionato del mondo successivo, chiesero al giornalista se avesse cambiato idea su quel giocatore, ma lui confermò il suo giudizio, suffragandolo col fatto che non aveva ancora vinto nulla, e confermando di preferirgli per tecnica Hugo Sanchez.

Il calciatore senza visione di gioco, egoista e inconcludente era Diego Armando Maradona.

 

Da Roma a Firenze: appunti di cucina medievale italiana prima del primo libro di cucina del Trecento. Proseguiamo nei nostri appunti di storia della cucina per sensibilizzare circa la necessità di ritornare alla preparazione casalinga dei cibi, evitando i prodotti dell’industria alimentare (v. in Note e Notizie 15-02-25 Notule: I nuovi studi su microbioma intestinale e asse cervello-intestino evidenziano l’importanza dei costumi alimentari; Note e Notizie 22-02-25 Notule: Appunti e curiosità su abitudini alimentari e cucina presso i Romani antichi).

Nelle città di mare dell’Impero Romano le raffigurazioni parietali di pesci e frutti di mare occupano un posto di primo piano e adornano spesso le sale da pranzo. A parte un presunto valore apotropaico di protezione da eventi nefasti suggerito da alcuni storici, noi sappiamo da Apuleio che lo studio della fauna marina, tipico dei filosofi, si accompagnava a degustazione dei delicati sapori delle specie acquatiche e, se alcuni repertori ittici dipinti in affresco si ritiene che avessero valore di documentazione naturalistica a scopo didattico, non possiamo trascurare il fatto che facessero da sfondo ai triclini intorno al desco. Secondo Yvon Thébert le dimensioni gastronomica e culturale coesistono nel rapporto con le specie ittiche degli abitanti di località marine. In proposito, si legge che nelle case romane nordafricane vi erano spesso degli acquari in cui nuotavano pesci di mare; non sappiamo se avessero un puro valore ornamentale, in quanto si trattava di vasche collocate nel cortile del peristilio, o se costituissero una riserva di pesce fresco per le mense, come si può supporre leggendo l’Apologia di Apuleio.

Seguiamo Yvon Thébert: “È ancora Apuleio a farci sapere che Ennio, il poeta ellenistico dell’Italia meridionale, in ciò sicuramente imitando fonti greche, compose un poema in versi, un’intera parte del quale esaltava pesci e frutti di mare, «dicendo per ciascuno in quale paese e come preparato – se fritto o in salsa – abbia il gusto più saporito» (Apol. 39)”[1].

Vivai di pesci e molluschi sono stati ritrovati a Cuicul nella casa di Castorio e nella casa di Bacco, ma l’allevamento di pesci più grande e interessante è stato trovato a Timgad nella casa di Serzio, in cui vi sono due vivai sovrapposti comunicanti tramite fori: un dispositivo destinato a fornire un riparo ai pesci per deporre le uova.

Tutto ciò, stando ai rinvenimenti archeologici. Ma ci sentiamo di seguire la deduzione di Yvon Thébert: “Si tratta, forse, di una riproduzione piuttosto mediocre di quei vasti allevamenti che si accaparrarono gli aristocratici romani, al punto di ricevere da Cicerone il nomignolo di piscinarii [chi mantiene vivai di pesci per lusso – N. d. T.] e di Tritoni di vivai[2].

Sappiamo da queste autorevoli testimonianze che i Romani avevano compreso l’importanza del pesce nell’alimentazione e che, a differenza di altri popoli antichi, non si cibavano di pesce solo se e quando si trovavano in prossimità del mare.

La volta scorsa abbiamo menzionato lo strabiliante banchetto allestito dal ricco mercante Trimalcione, di cui narra Petronio Arbitro nel Satyricon, considerando le insolite portate volte a stupire i commensali, ma è importante ricordare che, pur senza quei piatti bizzarri, per qualche centinaio di anni quello stile ricco e variato per pranzi e cene era stata la regola nel modo romano. Perché, se è vero che gli allestitori erano benestanti, ricchi, beneficiari e potenti del tempo, è pur vero che la maggior parte dei partecipanti a tali frequentissimi convivi era rappresentata da ospiti autorevoli o semplicemente graditi, anche se non in grado di ricambiare l’invito. La varietà delle portate era la regola, e una delle ragioni era data dal sollecitare l’appetito anche quando la fame era stata saziata. Cacciagione e carne da animali di allevamento erano sempre presenti. L’implicito era spesso che si mangiasse molto e bene, anche se si legge di famosi commensali che assaggiavano appena ogni pietanza, giusto quel poco che consentiva loro di fare i complimenti ai cuochi e all’anfitrione. Lo stesso valeva per le libagioni, che non solo erano speziate, ma spesso erano anche profumate mettendo a macerarvi dentro petali di fiore.

Parlando di questi banchetti pantagruelici, non è superfluo ricordare che gli antichi, per costume diffuso e sostenuto da influenze filosofiche, particolarmente quelle stoiche ed epicuree, non mangiavano tutti i giorni. Vi erano giorni durante la settimana che, per minor carico di lavoro e di impegni, ci si dedicava alla tavola, ma per il resto si beveva acqua e ci si limitava a mangiare un frutto o del cibo secco recato con sé per lenire la fame. Molti Ebrei immigrati in terre italiche, quando non erano in periodo di digiuno, prendevano pasti a giorni alterni, e si vuole che siano stati loro a portare questo uso nella Florentia romana, anche se non vi è prova documentale.

È ragionevole supporre che vi sia stato un lungo periodo di transizione da questi costumi alimentari a quelli affermati dalla cultura dei secoli cristiani, ma non disponiamo di studi che abbiano documentato questa evoluzione. Entriamo, dunque, nel modo di concepire la mensa da parte di coloro che avevano ricevuto la buona novella, leggendo questo brano di Tertulliano:

“Il nostro pasto dimostra di per sé la propria ragion d’essere: lo si chiama con un nome che significa amore presso i Greci (agapè)… Traendo la propria origine da un obbligo religioso non tollera bassezza o immodestia. Non ci si mette a tavola se non dopo aver assaporato una preghiera a Dio. Si mangia finché la fame lo richiede; si beve foinché la sobrietà lo consente… si parla tra gente che sa che il Signore l’ascolta. Il pasto finisce come è cominciato, con la preghiera. Poi ognuno se ne va per conto suo, come gente che ha ricevuto più una lezione che non un pasto” (Apol., XXXIX, 16-19).

Cercando nella storiografia che documenta i costumi delle civiltà, dopo la caduta dell’Impero Romano e il susseguirsi delle invasioni di Visigoti, Unni, Vandali, Ostrogoti e Longobardi, non si trova più menzione del pulmentum e della puls, i due piatti di cui si è detto due settimane fa, ma si trovano tracce di una progressiva separazione delle abitudini alimentari delle campagne da quelle delle città.

Nel 542, Firenze fu duramente colpita da Totila, re degli Ostrogoti, poi fu la volta dei Longobardi, ma solo dopo il 25 dicembre dell’800, quando Papa Leone III incoronò Carlo Magno, re dei Franchi e fondatore del Sacro Romano Impero, la vita sulla sponda fiorita dell’Arno riprese i tratti della sua tradizione di attenzione ai costumi alimentari quale presidio per la buona salute. Il feudalesimo aveva accentuato le differenze economiche fra classi sociali, e il conseguente immobilismo aveva cristallizzato le differenze fra alimentazione di campagna, strettamente legata ai prodotti agricoli e di allevamento in eccesso o scartati dalle famiglie dei feudatari, delle loro corti e dei militari, e alimentazione di città, dove era condotto il meglio della produzione, della cacciagione e a volte della pesca, ma solo per i potenti e i facoltosi che potevano pagare cifre elevate. Leggiamo in Paolo Petroni: “Agli ordini del potente feudatario vivevano, in condizioni disperate, centinaia di servi della gleba sulle cui tavole si vedevano spesso zuppe d’ortiche, ghiande, lucertole e pasticci di topo (!)…”[3]

Prima dello sviluppo delle case-torri, che riflettevano un modo di vita in perenne stato difensivo da attacchi di barbari e famiglie rivali, secondo il costume barbarico delle faide ormai acquisito in tutta Europa, quella che era stata la vita delle città, sullo stile della polis greca e della civitas romana, si era trasferita nel castello, mentre la ricostruzione dell’ideale di vita cristiana aveva un luogo nuovo e sui generis che, da “deserto per lo spirito”, divenne la sede depositaria della cultura: il monastero.

Leggiamo: “Nei castelli, naturalmente, la situazione era diversa e il cibo non mancava: arrosti, cacciagione e selvaggina di ogni tipo, pesci e verdure. I pasti erano però monotoni, serviti senza un ordine particolare[4], cotti allo stesso modo e sempre pieni di spezie e aromi[5]. Non si mangiava, si gozzovigliava[6]; non c’erano né piatti né posate; un solo bicchiere bastava per tutti i commensali. Gli arrosti venivano serviti su focacce tonde di pane azzimo che, una volta esaurita la loro funzione di piatto, venivano date ai servi affamati”[7]. Proprio in questo uso di origine greca trasferito ai Romani, di formare “mense” con impasti di acqua e farina cotti, Petroni vede la nascita di due piatti della più antica tradizione toscana: “Ancora intrise d’olio e di avanzi di carne, le buttavano in un pentolone assieme ad acqua, verdure e aromi: nascevano la ribollita e i crostini”[8].

Al contrario di quanto era accaduto per secoli nel mondo greco e romano, caratterizzato da continui viaggi per esplorazione, vacanze, commercio, desiderio di conoscere e piacere di scoprire, gli spostamenti in epoca medievale sono quasi esclusivamente quelli degli eserciti in armi: viaggiare è pericoloso e costoso, e la povertà conseguente a distruzione barbarica, carestie e pestilenze lo ha reso per molti quasi impossibile. Proprio questo rimanere confinati nello spazio di residenza e poter disporre solo dei prodotti ottenuti nei paraggi e nel circondario, sembra essere stato all’origine delle innumerevoli specialità che vanta la cucina italiana: in alcune regioni ogni piccola area ha la sua individualità gastronomica, il suo profilo, la sua tradizione, le sue storie.

Infatti, leggiamo: “Il frazionamento, l’isolamento e la mancanza di comunicazioni differenziarono notevolmente le varie cucine del nostro paese. L’economia autarchica del feudo costrinse infatti a utilizzare unicamente le risorse locali: ogni regione, anzi ogni zona, ebbe così le sue specialità, i suoi piatti tipici”[9].

Ci fermiamo qui, per riprendere la prossima settimana il cammino nella storia, che ci porterà a un manoscritto del 1338 custodito presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze e considerato il più antico libro di cucina italiana.

 

[continua]

 

Notule

BM&L-01 marzo 2025

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[1] Yvon Tébert, Vita privata e architettura domestica in La Vita Privata dall’Impero Romano all’Anno Mille (Philippe Aries e Georges Duby), p. 277, Edizione CDE, Milano 1986.

[2] Yvon Tébert, Vita privata e architettura domestica, op cit., idem.

[3] Paolo Petroni, La cucina feudale, in Il libro della vera cucina fiorentina, p. 13, Giunti, Firenze 2009.

[4] L’ordine, studiato per ottenere i migliori effetti per il gusto, era invece presente nella cucina e, soprattutto, in convivi, simposi e banchetti di epoca classica.

[5] Non esistendo la refrigerazione alimentare, per evitare che il cibo deperisse o si avvertissero le alterazioni organolettiche della carne, per ossidazione di composti grassi, si usava la speziatura prima, durante e dopo la cottura.

[6] Petroni si riferisce alle tracce scritte dei banchetti; è evidente che di un mangiare parco, essenziale e non in compagnia non vi era motivo di scriverne, e dunque non si trova traccia, mentre sono raccontate le gozzoviglie.

[7] Paolo Petroni, La cucina feudale, op. cit., p. 14.

[8] Paolo Petroni, La cucina feudale, op. cit., idem.

[9] Paolo Petroni, La cucina feudale, op. cit., idem.